
Jimmy Iovine, fotografato con l’opera di Ed Ruscha “Our Flag”. Foto: Brian Guido/The New York Times.
Chi è
Jimmy Iovine, le cui origini partono da Ischia (NA), classe 1953, è uno dei più importanti nomi dell’industria musicale internazionale. Muove i primi passi come fonico e poi come produttore per John Lennon, Bruce Springsteen, Patti Smith, Tom Petty, Dire Straits, Stevie Nicks, Simple Minds, U2, Gwen Stefani, Lady GaGa e, ancora, dietro ai successi di Eminem, Drake e Billie Eilish.
Nel 1989 è lui a creare la Interscope Records e sarà sempre lui nel 2014 a lasciare la Interscope e a vendere (assieme a Dr.Dre) la Beats Electronics ad Apple per 3 miliardi di dollari, diventando l’uomo dietro ad Apple Music fino ad aprile 2018 e, oggi, un consulente esterno per Apple.
In qualità di massimo esperto del business musicale, Jimmy Iovine ha fornito al New York Times alcune risposte e previsioni sul presete e sul futuro dell’industria musicale.
Il decennio appena passato ha visto la definitiva riconciliazione dell’industria discografica con l’industria tecnologica, dopo un decennio precedente consumato nei tribunali per battaglie contro “Internet” e scoppiate principalmente tra la fine degli anni ’90 e i primi 2000, con l’avvento di Napster. La tecnologia, al tempo, decimò le vendite fisiche dei CD in favore del formato Mp3 e un’industria discografica miope e addormentata, si limitò a contestare nei tribunali la violazione del copyright (oltre 260 le cause legali in quegli anni) anziché capire che cosa stesse succedendo e trarne vantaggio.
Questo portò progressivamente le major ad abbandonare gli investimenti sui nuovi (e “vecchi”) artisti e, nel 2003, diverse major discografiche si ritrovarono in pesanti difficoltà economiche.
La Apple, nel 2001 lanciò il suo primo lettore Mp3 (iPod) e poco dopo Steve Jobs si riunì assieme ai principali protagonisti del business musicale – Jimmy Iovine in testa – per creare una piattaforma dedicata alla vendita di musica legale. Così nacque “iTunes Music Store” il primo negozio di musica legale.
Le domande a Jimmy Iovine
Guardando indietro al 2010, tu lavoravi ancora alla Interscope dove hai realizzato successi con Lady Gaga, Eminem e i Black Eyed Peas. Allo stesso tempo stavi realizzando il progetto delle cuffie Beats, ma da lì a 4 anni hai lasciato la Interscope e venduto la Beats alla Apple. Perché hai intrapreso questa strada?

Jimmy Iovine con Lady Gaga e Dr.Dre nel 2009.
Quello di cui stai parlando in realtà è una storia che si trascina indietro di 20 anni. È la risposta dell’industria a Napster. Ho visto quanto potente questa tecnologia fosse e ho realizzato che come industria dovevamo cambiare marcia. Le etichette discografiche non potevevano esistere senza la tecnologia. Il perché sia entrato nel mondo del business della musica in primo luogo è sempre stato associato al fatto che vedevo cose molto cool. E ho capito che il modo in cui l’industria discografica stava rispondendo a Napster non lo era affatto.
Intendi quando portavate la gente in tribunale?
Sì, intendo quello e costruire barricate, come se questo fosse bastato. Così ho detto “Oh, sono nel party sbagliato!”. Quindi ho incontrato un po’ di gente del settore tecnologico. Ho incontrato Steve Jobs e Eddy Cue di Apple e ho pensato: “Oh, è qui il party! Dobbiamo inglobare questo all’interno di Interscope”.
Ho scoperto molte cose con gli artisti con i quali ho lavorato. Dr.Dre è un perfezionista dell’audio, forse uno dei più grandi audio producer che siano mai esistiti. E quando ho scoperto la preoccupazione di Dr.Dre, ovvero che un’intera generazione di ragazzi stesse ascoltando la musica con un equipaggiamento mediocre e insufficiente, ho comiciato a mettere le basi per Beats.
Steve Jobs era solito sedersi con me in un ristorante greco e disegnarmi le cose di cui avevo bisogno per costruire hardware. Diceva: “Qui c’è la distribuzione, qui la manifatturiera” e disegnava su questi fogli di carta con un pennarello nero. E io davanti a lui che esclamavo “Oh…wow!”
Quindi che cosa hai imparato quando sei andato dall’altra parte della barricata?
Non volevo passare dall’altra parte. Volevo che tutto fosse un’unica cosa. Non stavo salvando la musica: ho sempre pensato che la tecnologia avrebbe aiutato a portare le persone ad ascoltare la musica in modo migliore e a promuoverla tramite un servizio di streaming. Ma tutto sarebbe finito sotto la stessa casa.
Quindi le cose sono andate a finire così? La musica e la tecnologia sono sotto lo stessa casa, o la casa è divisa?
Le due parti non parlano la stessa lingua. I contenuti non sanno cosa la tecnologia sta costruendo. E gli ingegneri vanno avanti nel modo in cui loro vedono un problema. Il business dello streaming ha un problema all’orizzonte e quindi anche il music business. Questo non significa che non possano risolverlo.
Qual è il problema dello streaming musicale all’orizzonte?
I margini. Non è scalabile. A Netflix se aumenti il numero di abbonati hai meno costi. Nello streaming musicale i costi t’inseguono.
E i servizi di streaming musicale sono come servizi pubblici, tutti uguali. Guarda ciò che sta funzionando nel mondo video: Disney ha unicamente contenuti originali. Netflix ha tonnellate di contenuti originali. Ma i servizi di streaming musicale sono tutti uguali, e questo è un problema. Quello che accade quando qualcosa è mercificato è che tutto diventa una mera guerra di prezzo. Se puoi ottenere la stessa identica cosa ad un prezzo inferiore, qualcuno entrerà in gioco e abbasserà i prezzi. Spotify ora ci sta provando con i Podcast. Chi lo sa? Forse questo funzionerà.
E fammi dire che ciò che ha realizzato Daniel Ek con Spotify è straordinario. Ho conosciuto le persone con le quali Daniel ha siglato i suoi contratti originali. Quelli erano davvero contratti impossibili e da allora in Spotify stanno soffrendo per questo. Tutte le aziende di streaming soffrono per questo tipo di contratti. Ma Daniel ha fatto un lavoro enorme.

Jimmy Iovine, Bono e The Edge degli U2 assieme a Steve Jobs nel 2004.
Se guardi indietro agli ultimi 20 anni dell’industria musicale come ad una ripresa da Napster, il problema ora è stato risolto?
Non lo vedo come un problema risolto. Ci sono stati dei progressi, ma c’è ancora strada da fare. Se fossi ancora alla Interscope, ci sarebbero delle cose di cui mi preoccuperei. Sarei preoccupato dal fatto di non avere una relazione diretta con i miei consumatori. L’artista e le piattaforme di streaming ce l’hanno.
Sarei preoccupato dal fatto che un artista come Drake o Billie Eilish stanno producendo un numero di streaming maggiore dell’intero decennio 1980-1990, stando alle informazioni che ho visto dalle etichette e dai servizi di streaming. Sarei anche preoccupato del fatto che i servizi di streaming non stanno guadagnando abbastanza denaro, perché quello potrebbe portare l’industria allo sbando.
Cosa ne pensi del futuro del business della musica? Perché la prossima Billie Eilish dovrebbe firmare un contratto discografico in primo luogo?
Gli artisti ora hanno qualcosa che non hanno mai avuto prima, ovvero una massiccia, diretta comunicazione con il proprio pubblico. Da casa, dal letto, dalla macchina, dovunque. E proprio per questo motivo, tutti li vogliono. Spotify li vuole, Apple Music li vuole, la Coca-Cola li vuole, la Pepsi li vuole. E le persone che realizzano dischi terribili, sono comunque ancora famosi e hanno una loro audience on-line. Il potere della celebrità, questa ossessione con Instagram, è guidata dalla personalità e dallo stile di vita.
Quindi rendiamo omaggio agli artisti perché alla fine loro stanno vincendo. Non è un loro problema capire in che modo le aziende di streaming e le etichette discografiche possano fare più soldi. Sono le aziende di streaming e le etichette discografiche a dover pensare a come diventare più preziose per quegli artisti.
Tu hai lasciato Apple nel 2018, soltanto 3 anni dopo aver lanciato Apple Music. Perché?
Quando sono andato in Apple c’era un nuovo problema creativo per me. Come facciamo a rendere Apple Music il futuro del business musicale? Come possiamo evitare di renderlo qualcosa di ordinario? Ma alla fine ho terminato il mio percorso e qualcun’altro dovrà rispondere a queste domande.
Cosa ne pensi in merito al fatto che Taylor Swift spinga per avere il controllo delle sue registrazioni master?
Beh, chi non desidera possedere i propri master? Ma quello che lei sta facendo sta amplificando il tutto perché lei dispone di un bacino enorme. Questo avrà un effetto e non sarà qualcosa di neutrale. Perciò se hai 16 anni e fai musica con ProTools, questo è già parte della conversazione nel business. Se fossi ancora alla Interscope direi: “Ok il cambiamento è arrivato, quindi devo capire: come faccio ad aggiornare le relazioni che ho con i miei artisti?”
Qual è il segreto per avere una lunga carriera come artista, al giorno d’oggi?
La qualità. In qualsiasi cosa tu faccia. Rendi la qualità una priorità, non la velocità. La velocità riguarda il marketing, ma tu devi avere qualcosa di grande prima di metterlo sul mercato.
Dr.Dre dice che sta vedendo un sacco di quantità rispetto alla qualità oggi. Qualcuno mi ha chiesto l’altro giorno: “Come fai a creare un Album natalizio che rimanga nel tempo?” Ho risposto: “Non farlo con artisti usa-e-getta”. Se non vuoi diventare un artista usa-e-getta, prenditi cura dell’arte.

Jimmy Iovine in studio con John Lennon nel 1974. Foto: Bob Gruen.
Sei impressionato dai lavori degli artisti al giorno d’oggi?
Gli artisti hanno queste nuove piattaforme che sono davvero, davvero potenti. Mi chiedo il perché artisti visivi come Mark Bradford, Kara Walker, Ed Ruscha, Jenny Holzer creino dei messaggi così forti sullo stato della nostra cultura, così come al tempo l’hanno fatto Marvin Gaye, i Public Enemy, Bob Dylan o Rage Against the Machine. Che cos’è cambiato?
Uno dei motivi per i quali ho lasciato la musica è dovuto al fatto che non c’è più un genere di musica a cui io mi senta legato. Sono cresciuto con Patti Smith, Bruce Springsteen, John Lennon. Quando è uscito il disco di Neil Young “Ohio” avevo 17 anni. Ero ad un anno dall’essere chiamato a militare. Il mio istinto mi diceva che quella guerra fosse sbagliata. Ecco arrivare un ragazzo con una musica che amavo e improvvisamente mi ritrovo ad essere parte del movimento “Non siamo d’accordo con questa guerra”. E Neil Young oggi ha un decimo dell’1% della piattaforma che alcuni artisti hanno oggi.
Al giorno d’oggi ottengo questo messaggio dal mondo delle arti visive, non da quello della musica.
Quindi ho chiamato Ed Ruscha e gli ho detto: “Potresti farmi una bandiera americana?”. E lui mi ha risposto: “Solo se posso farla nel modo in cui sento l’America quest’oggi”. E gli ho detto: “Assolutamente”.
Quando ho ricevuto il suo quadro sapevo che Ed avrebbe colpito nel segno. E gli ho detto: “Dove sono i musicisti in grado di fare questo?”
Ci sono alcuni spunti. Siamo forse entrati in un’epoca musicale dove gli artisti hanno paura di estraniarsi dalle persone? Dato che il paese è così schierato, hanno paura di allontanare quell’altra parte di pubblico? Hanno paura che uno sponsor non sia d’accordo con quello che fanno su Instagram? Non lo so. Mi sto chiedendo questo.
Ma tu hai artisti come Billie Eilish che parlano del cambiamento climatico.
Ce ne sono pochi, ma non sono abbastanza. Se fossi ancora a capo della Interscope firmerei artisti e li incoraggerei. Ora ci sono un sacco di persone che vanno in giro chiedendosi che cosa si può fare su TikTok per avere attenzione. Va bene. Ma io sono più incoraggiato dalle persone che dicono “Wow, questo artista ha davvero qualcosa da dire. Lo supporterò, perché credo che alla fine lui vincerà e questo ci farà vincere tutti”.